di: Umberto Rovelli 

Umberto Rovelli (Bologna, 1962). Laureato in Architettura, dal 1996 al 2018 è socio di Blue Klein, web agency impegnata nel campo multimediale per la promozione della cultura del progetto su Internet. Dal 2005 dirige la rivista IdeaMagazine.net. Dal 2008 al 2016 cura gli aggiornamenti del web ADI Toscana progettato da Blue Klein. Socio ADI dal 2010 al 2015, è curatore dei volumi MuDeTo Collection I.-V. (MuDeTo, Firenze 2014-'21), Mauro Pasquinelli Designer (Bandecchi&Vivaldi, Pontedera 2013) e Interviste sul Progetto (Franco Angeli, Milano 2011). Ha collaborato con le riviste “Op. cit.”, “Juliet Design Magazine”, “Paesaggio Urbano”, “ReportBio”, “Firenze Spettacolo”. Ha pubblicato contributi in: Adriano Piazzesi (Pontecorboli, Firenze 2016); Vincenzo Missanelli. Opere con un'antologia critica (Bandecchi&Vivaldi, Pontedera 2015); Antonio Possenti un lungo viaggio (Pacini Fazzi, Lucca 2013); Adriano Piazzesi. Arte nel silenzio (Polistampa, Firenze 2012); Massimo Mariani. Progetti 1980 - 2005 (Verba Volant, London 2005); Labyrinthos (Alinea, Firenze 1994). [x]

Come afferma Renato De Fusco, la fine degli anni ‘20 rappresenta una soglia critica per la storia dell’arredo. In tale periodo (tra il 1928 e il ‘29) l’industriale mecenate Riccardo Gualino commissiona «a Pagano e Levi Montalcini la progettazione del palazzo per uffici della Salpa» a Torino. Con «l’arredamento degli uffici di Gualino» si «apre un fenomeno tra i più ricorrenti nella storia del design. Molti mobili e oggetti d’arredo non sono nati come prodotti singoli alla stregua delle macchine per ufficio o degli stessi elettrodomestici, bensì come parti di un arredamento, salvo poi successivamente essere prodotti in serie. Il fenomeno non riguarda l’opera dei soli arredatori, ma quella degli stessi maestri dell’architettura e del design, quali Wright, Asplund, Aalto e molti tra gli stessi italiani: Caccia Dominioni, Gardella, Scarpa, ecc. Talvolta il passaggio dall’arredamento al design» avviene «per intento degli autori, talaltra per iniziativa di altri designer e produttori»[01].

[01] Renato de Fusco, Made in Italy: Storia del design italiano, Laterza, Roma-Bari 2007 | Altralinea edizioni, Firenze 2014.

Nella lunga teoria di esempi appena accennata da De Fusco, la lampada da terra e da lettura Pipistrello, progettata da Gae Aulenti e realizzata da Martinelli Luce nel 1965, ha un ruolo e una esemplarità di tutto rilievo. Come nota la stessa Aulenti, la genesi della Pipistrello è assolutamente specifica, essa infatti risulta «progettata per un certo spazio, dimensionata per un rapporto con altri oggetti, disegnata per una relazione con altre forme con le quali sarebbe venuta in contatto in una combinazione stilisticamente caratterizzante: le righe parallele, la forma di cono, la forma ovoidale, gli assi di simmetria, i piani inclinati. La sua costruzione era sostegno e riproduzione di una serie di immagini; il suo destino si è poi allargato, la rete delle relazioni si è allentata, i rapporti si sono moltiplicati e complicati»[02].

[02] Gae Aulenti, Nota al progetto, 1965, riportata anche in Il "design" degli anni ‘70, "Ufficiostile", n. 4, 1970.

Le ragioni e i motivi sottesi alla creazione della lampada Pipistrello sono di fatto legate alla progettazione d’arredo dei due punti vendita a Parigi e Buenos Aires commissionati ad Aulenti dalla Olivetti e rispettivamente conclusi nel 1967 e 1968. Due “spazi” vendita (come del resto il progetto di BBPR a New York nel 1954 e quello di Carlo Scarpa a Venezia nel 1958) estremamente definiti da «un caratteristico design d’interni» che sembra precorrere l’attuale «concetto di flagship store: negozi immagine e monomarca, posti in zone strategiche del contesto urbano per esternare l’autorevole presenza dell’azienda». Luoghi in cui la gestione assai libera degli spazi espositivi (riconducibili forse più alla tipologia della galleria d’arte che non alle griglie distributive del punto vendita) denota comunque la precisa ricerca di un «coinvolgimento diretto del cliente» che – con un certo anticipo sui tempi rispetto ai competitors – viene considerato da Olivetti «un elemento strategico nel sistema di vendita: l’acquisto assistito è pressoché scomparso in favore di un’esperienza libera all’interno dello spazio. Le persone accedono autonomamente alle merci o sostano semplicemente nell’ambiente che non è più deputato al solo commercio»[03].

[03] Porzia Bergamasco, Valentina Croci, Design in Italia. L’esperienza del quotidiano, Giunti, Firenze 2010.

L’intervento di Aulenti a Parigi si colloca pertanto sul crinale di una almeno duplice traiettoria ad un tempo contestuale e di “durata”: quella “poetica” dell’architetto-designer (in cui l’adesione al «cosiddetto Neoliberty che proponeva il ripensamento della storia in chiave borghese»[04] gioca un ruolo non secondario) e quella strategico-imprenditoriale della Olivetti che proprio nell’allestimento dei punti vendita individua un’opportunità di fidelizzazione nei confronti del brand. In termini molto espliciti, cioè, sia la “specificità” spaziale sia la caratterizzazione “stilistica” cui si appella Aulenti nel progetto coinvolto con la creazione della lampada Pipistrello sono da intendersi decisamente connesse a un non esiguo tasso di “rappresentatività” ascrivibile a spazi che, per quanto determinati, tendono comunque a proporsi anche come “esemplari”. Ovvero le “ragioni locali” del progetto site specific non sono affatto – o perlomeno non del tutto – scisse né immuni dal confronto serrato con valutazioni “globali” – o astratte –, volte, in ultima analisi, ad esaltare tanto la peculiarità quanto la “emblematicità” delle soluzioni proposte.

[04] «Quanto al design neoliberty, la sua origine è collegabile all’Osservatore delle Arti Industriali, aperto a Milano alla fine degli anni Cinquanta, che era al tempo stesso editore di una rivista, galleria di prodotti per l’arredamento e frequentato punto d’incontro fra architetti, industriali, critici e designer. In questa sede fu organizzata nel marzo 1960 la rassegna Nuovi disegni per il mobile italiano, ordinata da Guido Canella e Vittorio Gregotti, allestita da Gae Aulenti e Canella. Vi presero parte molti architetti-designer, alcuni dei quali esordienti o comunque appartenenti alla più giovane generazione e molti di costoro allievi di Ernesto N. Rogers e collaboratori di “Casabella-continuità”. Gli espositori erano Michele Achilli, Sergio Asti, Gae Aulenti, Pierfausto Bagatti Valsecchi, Daniele Brigidini, Franco Buzzi Ceriani, Maurizio Calzavara, Guido Canella, Sergio Favre, Leonardo Ferrari, Leonardo Fiori, Roberto Gabetti, Vittorio Gregotti, Aimaro Isola, Laura Lazzani, Lodovico Meneghetti, Anna, Gianemilio e Piero Monti, Fulvio Raboni, Umberto Riva, Ugo Rivolta, Sergio Rizzi, Aldo Rossi, Domenico Sandri, Antonio Scoccimarro, Giotto Stoppino, Silvano Tintori, Virgilio Vercelloni». Renato De Fusco, op. cit.

Originariamente allestito da Franco Albini, lo spazio parigino viene «aperto nel 1959 nella centralissima Rue du Faubourg Saint Honoré». Nel progetto di Aulenti «il negozio Olivetti viene totalmente rinnovato»: vengono plasticamente proposti alcuni elementi base (“emblematici”, appunto) della «piazza italiana, movimentata da sinuose curve di livello, gradoni a diverse altezze» disposti, talvolta, «in modo da formare una piccola scalinata su cui esporre i prodotti». Nel complesso «il bianco dei laminati plastici usato per le pareti» e «dei gradoni su cui sono esposti prodotti» contrasta, sia «con la struttura rosso-arancione a forma di capsula spaziale [nella quale sono ricavati dei ripiani per esporre altri prodotti] collocata al centro del negozio, sia [...] con la scura scultura africana» nella quale, sub specie del «calao (singolare uccello che per molte popolazioni dell’Africa Centrale ha un significato mitico, simbolo di fertilità)»[05] è simboleggiata la presenza dell’uomo.

[05] Un negozio nel cuore di Parigi, Associazione Archivio Storico Olivetti (www.storiaolivetti.it).

In tale contesto, «cuscini in pelle posti sui gradoni per sedersi o anche per provare le macchine esposte» si trovano disposti insieme alle lampade da tavolo Pipistrello. A quest’ultime il progetto affida, sui diversi piani, il ruolo di unica fonte illuminante “palese” dell’allestimento che, oltre a migliorare l’illuminazione, contribuisce a rendere più accogliente l’ambiente nel suo complesso. La sinuosa e plastica disposizione delle gradonature a diverse altezze crea l’opportunità di miscelare (o, comunque, rendere assai contigui) spazi espositivi e spazi relax con sedute informali e possibilità di lettura (rimarcate appunto dalla presenza di cuscini e dalle Pipistrello) senza che si determini una reale soluzione di continuità fra area conviviale e area espositivo/commerciale.

Rispetto alle precedenti esperienze progettuali (i sopracitati progetti di BBPR e Carlo Scarpa) Gae Aulenti manifesta in primo luogo l’intenzione di moltiplicare le opportunità di “pausa” all’interno del negozio. Le stesse citazioni di elementi base della “piazza italiana” evidenziano tale impegno. Man mano che ci si addentra e ci si attarda nel negozio, la costellazione di evidenze sembra virare in esplicito richiamo, in una sorta di “pressione ambientale” – o spatial suasion – volta a conformare ogni atteggiamento relazionale alle valenze del luogo alluso: come evocando e “imponendo” i gesti e i toni della pacata convivialità, della rilassata confidenza. Al punto che, se nei negozi di New York e Venezia i “prodotti” sono esplicitamente “esposti” su piedistalli, le stesse “macchine” – sia a Parigi che a Buenos Aires –, appaiono quasi trasfigurate in miti “numi tutelari” disposti su crinali rievocanti algidi paesaggi collinari; quasi lo sfondo di scenografie teatrali assai più pensate per accogliere e “dare luogo” agli attori di una pièce che al fine di “mettere in mostra” alcunché. Un palese cortocircuito logico-percettivo in quanto entrambi gli allestimenti risultano visibilissimi dall’esterno tramite vetrate a tutta altezza ma, piuttosto che porzioni o elementi contenuti, mirano ad esporre in primo luogo il ricreato ambiente e il brulichio di relazioni che – come talvolta capita nelle ricerche entomologiche – s’intreccia nel complesso micro-universo racchiuso tra sottili lamine di cristallo.

In questa dialettica che contrappone propositi arredativi tesi al ripiegamento introspettivo della tipologia – il punto vendita – e, al contrario, intenzionalità volte a esibire e mettere in luce quanto accade all’interno della “scatola sociale” adibita allo scambio, la “lampada da tavolo e da lettura” progettata da Aulenti gioca il ruolo chiave di medium. Come accade nel “progetto del verde” di una piazza – l’affinità morfologica fra prodotto e mondo vegetale non sembra affatto casuale – le Pipistrello paiono offrire al progetto allestitivo di Aulenti un ulteriore e peculiare pretesto di riflessione simbolica, riparo e cesura dal mondo diurno e cinico del mercato. Un pretesto che però si rivela quasi immediatamente nella sua ambivalenza e “specularità” rispetto al tema del loisir così sovente connesso al progetto del “verde”. Come dettato chiaramente nei disegni di Aulenti, la tonalità preminente di “lampada da lettura” attribuita alla Pipistrello ne colloca in prima istanza il progetto nell’alveo della “strumentalità”; il suo fine – la conoscenza –, sebbene immateriale, pretende un impegno, non indulge né incita all’inerzia. Di fatto non è tanto al riparo di un intimista cono d’ombra che si esorta all’ozioso riposo, quanto piuttosto sostenuti e protetti da un’egida solerte e intersoggettiva: il cono di luce che promana dalle, più o meno alte, chiome in metacrilato della Pipistrello. Un’inversione – ombra/luce, privato/pubblico, oziosità/operosità – che manifesta più di una consonanza con quanto sostenuto poc’anzi a propostito dei micro-universi/punto-vendita, i cui connotati di ospitalità espressi e riscontrabili nel luogo “specifico” sono ritenuti sostenibili anche universalmente, accettabili erga omnes, dunque, almeno in buona parte “chiaramente” riproducibili o resi “operativi” ovunque.

Come accennato, nel senso profondo di “ripensamento della storia in chiave borghese”, il Neoliberty [06] è lo stile che “veste” la morfologia complessa e contraddittoria della Pipistrello. Ma la sua conformazione non s’esaurisce affatto nella riedizione di un repertorio di forme prelevate dal passato bensì si coglie nel complesso – e per certi versi irrisolto – intreccio tra desunte «invarianti del sistema linguistico» e personali rielaborazioni di «regole combinatorie» il cui esito finale è, com’è noto, una netta partizione in tre settori quasi “autonomi” del prodotto finale, eterogenei per struttura, forma (colore) e materiali: a) base conica in metallo; b) fusto telescopico regolabile in acciaio; c) diffusore in materiale plastico quadripartito «connotato» in particolare «dalle profonde nervature dello stampaggio»[07].

[06] Sorta di eco formale del “rifiuto della superstizione del nuovo” auspicato da Paul Valéry.

[07] Ali Filippini, I Protagonisti del Design. Design italiano. Anni ‘60 e ‘70, Hachette Fascicoli, Milano 2013.

Un frazionamento talmente deciso e netto da far quasi dubitare che la Pipistrello possa apparentarsi più all’esito “spurio” di esperimenti assemblativi tuttora in fieri, che al frutto compiuto di una regia compositivo-formale tesa effettivamente a “lenire” tutti i contrasti esistenti fra gli elementi in gioco. Dubbio da intendersi innanzitutto positivamente, ovvero in termini di preservata “freschezza” della ricerca all’impianto originario che proprio trattenendo in sé un quid di “incompiutezza” e di “irrisolto” ancora oggi presenta “valenze aperte” alle oscillazioni del gusto proponendosi e adattandosi in più contesti nel corso del tempo.

Per converso, non si può non segnalare che alla base della provata capacità di resistere alle “concessioni del garbo” da parte di Gae Aulenti, sta una patente capacità di lettura “storico-stratigrafica” del progetto alle sue varie scale. In tal senso, l’esito della Pipistrello non “deriva” esclusivamente dal progetto allestitivo di un punto vendita: nella decisa “tripartizione” della lampada si cela anche la secolare codificazione dei Trattati nei riguardi del fronte architettonico (basamento, fronte, copertura) e del suo elemento portante – la colonna – composta, al pari della lampada, da base, fusto e capitello. Se dunque è credibile che il design della Pipistrello sia l’esito di uno specifico progetto d’arredo, altrettanto verosimilmente tale design appare in debito anche col più canonico modello di progetto a scala urbana. Pertanto, non è più solo uno stile a “vestire” la lampada, bensì è anche un ordine a determinare che la sua forma sia scandita al ritmo di regole così “profonde” da poter sfidare il tempo. E questa inesausta ancorché inconciliabile fibrillazione tesa a intrecciare regola e prassi, specificità e norma rimane tuttora una delle eredità più notevoli della Pipistrello.

Come è stato affermato in passato «la stessa ricerca sembra condividere supinamente una disposizione verso il nuovo che nega ogni spazio plausibile all’ibrido e allo spurio; un prodotto cioè che ammetta consapevolmente i propri limiti, la propria imperfezione, ma ciò nonostante si dichiari nel suo specifico “essere composizione”. L’idea di mix o quella ancora più suadente di melange sembra del tutto scomparsa dal suo vocabolario. Alla completezza di un risultato intermedio, eterogeneo, e orientato viene ormai preferito il perfezionamento di quanto già consolidato. Si ritarda fino all’estremo (fino a quando cioè il grado di levigatezza del nuovo non è assicurato) l’immissione sul mercato di oggetti a forte contenuto di ambivalenza»[08].

[08] Umberto Rovelli, Costruire la pausa. Tatto e cura della sorpresa, in Lino Centi (a cura di), Labyrintos. Materiali per una teoria della forma, Alinea Editrice, Firenze 1995.

Ebbene, in netto contasto con la tendenza appena descritta nella lampada Pipistrello sembra plausibile riscontrare un peculiare timbro avverso alla mera “conciliazione” che sta alla radice del «contributo assolutamente speciale (...) dato al design [da Gae Aulenti], in particolare al lighting design»[09]. Contributo che Marco Romanelli rinviene, in particolare, nei lavori più tardi Giova, Patroclo e Ruspa (quest’ultima sempre realizzata con Martinelli Luce): «capolavori assoluti in cui» l’autrice «controlla i volumi con una forza incredibile» proponendo «soluzioni “anti-graziose” di cui questi nostri giorni timidi e “per bene” hanno completamente perso la memoria»[10].

[09] Marco Romanelli, Gae Aulenti: interviene Marco Romanelli, “PresS/Tletter” (http://presstletter.com).

[10] Marco Romanelli, Op. cit.

A conferma di quanto appena esposto, segnaliamo, ad esempio, come in Pipistrello appaiano decisamente – e consapevolmente – “anti-graziose” le dimensioni del diametro (11, 10 e 9 cm.) dei tre elementi del fusto telescopico. Come denunciato dalla stessa Aulenti essi sono «larghi»[11] – vale a dire “poderosi” –, ovvero non del tutto efficaci ad “affusolare” il corpo della lampada anche quando questa è tesa alla sua massima altezza.
Fulcro progettuale della lampada, il fusto manifesta una “robustezza” d’impianto che non desidera affatto conciliarsi né con la grazia snella della base né con la contorta levità del diffusore. Una “prestanza” che, presumibilmente, intende serbare una traccia tangibile di memoria fabbrile, ovvero rimarcare senza infingimenti, anche il “travaglio” produttivo che si cela nel processo di conquista della sua fattura [12].

[11] Gae Aulenti, Op. cit.

[12] Dalla testimonianza di Emiliana Martinelli – figlia del fondatore di Martinelli Luce – emerge infatti che costante cruccio della fase di prototipazione e ingegnerizzazione di Pipistrello è per molti mesi quella di ottenere una versione “sicura” e costante nelle performance dell’asta telescopica.

Ma una dialettica progetto/prodotto non propriamente lineare può essere dedotta anche per altra via, e cioè dal confronto tra le cifre riportate sugli schizzi del 1965 e le misure reperibili sui cataloghi aziendali (relative sia alla versione allestitiva che a quella “seriale”). Infatti, almeno in un primo tempo, le misure previste da Aulenti per l’estensibilità del fusto a cannocchiale caratterizzavano il progetto della lampada in senso esplicitamente più «ibrido» di quanto non accada nel prodotto definitivo. Raggiungendo i 130 cm accennati a mano libera [13] a fianco delle sezioni disegnate al vero in rapporto 1:1, la lampada Pipistrello avrebbe infatti palesato ancor più decisamente i tratti di una non certo usuale tipologia «intermedia» a cavallo tra la «piantana» e la «lampada da tavolo». A questo proposito, anche se il compromesso produttivo è da attribuirsi ad una patente irrealizzabilità in fase esecutiva di quanto ipotizzato da Aulenti, va notato che gli schizzi citati – in cui vengono persino suggerite due varianti – sembrano comunque documentare un notevole interesse della designer verso questo tipo di soluzione decisamente più personale (e forse anche meno commerciale).

[13] Soluzione di cui gli schizzi sembrano suggerire due varianti, forse abbandonate in fase esecutiva per patente irrealizzabilità.

Comunque sia, fra concessioni al gusto consolidato, tensioni tecnico-pragmatiche ed estetiche “anti-graziose”, la storia della lampada non si ferma certo a quella del suo (duplice) utilizzo originario. Rispetto alle prime apparizioni – mediaticamente molto seguite –, la “seconda vita” della Pipistrello come oggetto de-contestualizzato appare altrettanto se non addirittura più rilevante, soprattutto in quanto – avvalendosi anche solo di minime, intelligenti forzature rispetto al modello originario – la lampada ha saputo “riscriversi” consentendo al prodotto di mantenere durevolmente un ruolo di protagonista del mercato sia in ambito contract che home.
Abbastanza presto, rispetto agli esordi allestitivi, la lampada viene pertanto «prodotta in serie conoscendo un successo di vendite e d’immagine», ma se per la base «la progettista prevede inizialmente il solo colore testa di moro» (forse per meglio contrastare il nitore colplessivo dell’arredo dei due punti vendita), «in seguito l’azienda – che ne desidera una versione bianca da esporre a una manifestazione – introduce anche questo secondo colore, poi rimasto»[14], di fatto, quasi altrettanto paradigmatico del prodotto.

[14] Ali Filippini, op.cit. Presumibilmente, Filippini si riferisce alla seconda edizione di Eurodomus a Milano nel 1968.

Come ricordato in apertura, è la stessa Aulenti a segnalare che alcuni tratti salienti del prodotto – come ad esempio la netta tripartizione verticale sia del corpo della lampada che dell’asta telescopica – siano «sostegno e riproduzione» del progetto complessivo ideato in loco. Tuttavia nella conformazione della lampada sono altrettanto evidenti tratti riconducibili anche allo zeitgeist produttivo e sperimentale più tipico dell’epoca considerata. Come, ad esempio, l’utilizzo del materiale plastico che apparenta decisamente la Pipistrello alle coeve sperimentazioni in cui si prevede l’impiego – con tecniche all’epoca innovative – dei materiali plastici emergenti, in particolare il metacrilato. Quest’ultimo «per le sue proprietà ottiche ed estetiche, sarà la plastica più sperimentata: usato, per esempio, nelle ricerche sui Globi Tissurati di Ugo La Pietra, nella lampada Cespuglio di Gino di Ennio Lucini per Guzzini, in Gherpe e Passiflora di Superstudio per Poltronova, oltre che in molte altre realizzazioni» che, per tutti gli anni Sessanta sono «accomunate da tale “identità materica”» finendo «per assomigliare più a sculture luminose che a corpi illuminanti»[15].

[15] Ali Filippini, Op. cit.

Ma sebbene sia innegabile una forte caratterizzazione plastica nel diffusore in metacrilato nella lampada Pipistrello, anche per quello che è forse l’elemento più esplicitamente “estetico” del prodotto si possono addurre plausibilmente motivazioni che esulano dal mero formalismo stilistico. In primo luogo la scelta del materiale (sensibile e deformabile al calore) induce di per sé la progettisa ad offrire una distanza “funzionale” che ribadisca come una eco le curve delle quattro sorgenti luminose a incandescenza adottate. Questo stesso tema formale, ragionevolmente deducibile anche seguendo traiettorie “funzionali” – la semisfera “scavata” lungo i due assi ortogonali a formare quattro spicchi separati – ha quindi un’ulteriore giustificazione pratica nella funzione “prensile” che risulta implicita nello scavo della calotta della lampada: è infatti l’avvallamento plastico che “disegna” le quattro ali della Pipistrello ad “aprire” lo spazio necessario all’utilizzo del pomello di trazione dell’asta telescopica posto sulla sommità della calotta.

Quel che si intende evidenziare è che nel progetto della Pipistrello sembra emergere un talento – peculiarmente “femminile” – a miscelare e mettere in relazione esigenze pratiche e morfologie, ordire temi e sottotemi secondo una filiera “metonimica” che pare procedere quasi manualmente, passo dopo passo fino a coinvolgere l’intera trama dell’opera. Non stupisce affatto, pertanto, l’emergere di fil rouge plastico-prensili in grado di intrecciare i temi formali della lampada Pipistrello con alcuni “dettagli” rilevanti dei due progetti installativi. Ad esempio, nel caso nella porta d’accesso del negozio Olivetti di Buenos Aires (1968), il motivo quadripartito – tra l’altro funzionale a creare 4 porzioni “prensili” che determinano lo scorrimento – è complicato dal gioco d’incastro che si consente, tramite la chiusura della maniglia: ovvero l’illusione percettiva di una “ricomposizione” della sfera originaria da cui sono ricavate le due semisfere (interna ed esterna rispetto al profilo dell’anta di accesso) della maniglia stessa.

Come in molti casi di prodotti cult – e come, più ancora, accade per le “figure d’arredamento” [16] –, l’evoluzione seriale di un progetto anche solo parzialmente specifico diviene, col tempo, una sorta di «cristallizzazione, ad un’epoca data, di un uso e di un comportamento» che perdura «anche quando le pratiche sono cadute in disuso» assumendo quindi «un valore essenzialmente simbolico, dove il senso si nasconde sempre più in profondità»[17]. Accade quindi – ed è probabimente fisiologico per un prodotto con ormai 5 decenni sulle spalle – che come una sorta di archeologia industriale in miniatura, la versione LED della Pipistrello stenti oggi a dar conto esaustivamente della propria morfologia (che, come detto, risiede anche nella compatibilità progettuale fra materiali e funzioni). Ma nonostante ciò, ad essa è comunque tuttora consentito di recuperare ragioni e sensi al proprio “teatrale” replicarsi nella continuità di una “memoria” plastico-manifatturiera, ovvero nella capacità di “durata” e “riconoscibilità” plurigenerazionale offerta da forme che sono ormai sublimate in modelli, dove la carica suggestiva di un’epoca si è come congelata per sempre.

[16] Le quali «pressuppongono attitudini corporee, una gestione dello spazio interpersonale che notoriamente forma una parte dell’identità culturale». Philippe Bonnin, Martyne Perrot, L’arredamento domestico in Margeride, in Silvia Bernardi, Fabio Dei, Pietro Meloni (a cura di), La Materia del quotidiano. Per un’antropologia degli oggetti ordinari, Pacini Editore, Parma 2011.

[17] Philippe Bonnin, Martyne Perrot, Op. cit.

Anche in forza di ciò, alla soglia dei 50 anni, Pipistrello ha modo di affinare e accrescere le proprie “singolari” doti arredative, arricchendo di pari passo il tenore stilistico-formale. E per ottime ragioni – anche mercantili – le è consentito di “cedere” senza traumi alcune caratteristiche pratico-funzionali un tempo distintive, come accade nella sua ultima evoluzione in formato ridotto – la Minipipistrello – che, messa in produzione nel 2013 a pochi mesi dalla scomparsa della autrice, non è più estensibile ma dotata di dispositivo touch on/off.

Ma anche al di là di questo, forse inevitabile, processo di progressivo svuotamento del prodotto delle originarie motivazioni culturali e progettuali, la storia di Pipistrello è più che esemplare per quel che concerne il fenomeno dell’affermazione del Made in Italy a livello internazionale (poiché tale è la dimensione del gusto con la quale si confronta la lampada di Aulenti e Martinelli Luce).

Come infatti segnala Gabriella D’Amato «solo nell’Italia dei primi anni del dopoguerra, (...) nel clima della ricostruzione, i progettisti si trovarono a dover rispondere innanzitutto a esigenze di praticità ed economia dei prodotti e, nello specifico dell’arredamento, i tradizionali laboratori artigianali furono costretti a trasformarsi progressivamente in piccole e medie industrie. Fu proprio all’interno di queste giovani industrie che si posero le basi di una particolare modalità produttiva che, con l’andare del tempo, avrebbe consolidato le sue caratteristiche».

Come prosegue l’autrice, «quelle industrie (...), pur orientando la propria produzione verso la fabbricazione in serie, sono state capaci di “personalizzare” il concetto stesso di serialità. (...) Questa formula di produzione a metà strada fra artigianato e industria, recentemente battezzata “artidesign”, costituisce la principale ragione della vittoria del design italiano. Una vittoria che peraltro, ponendo fine al secolare braccio di ferro tra tipizzazione e unicità, ha finito con il generare anche un vero e proprio “stile italiano”». Sempre ad avviso di D’Amato «si tratta, di un tipo di lavorazione molto individualizzato, risultato di un’intensa collaborazione fra industria e progettista; per cui talvolta il successo delle aziende deriva dal felice incontro di un produttore con un designer o con un gruppo di designer, talaltra dall’attività di un unico produttore-designer a capo di un’equipe altamente specializzata»[18].

[18] Gabriella D’Amato, L’arte di arredare, La storia di un millennio attraverso gusti, ambienti, atmosfere, Bruno Mondadori, Milano 2001.

Ebbene, co-appartenendo a entrambe le tipologie di relazione proposte da D’Amato, il caso in parola appartiene a buon diritto al non foltissimo elenco di prodotti evergreen che rappresentano nel mondo lo “stile italiano”. La lampada Pipistrello è infatti il risultato di un confronto “ad armi pari” tra un talento progettuale emergente, deciso, competente e un’altrettanto perspicace esperienza produttivo-progettuale – quella di Elio Martinelli – ormai stabilmente “a capo”, a metà degli anni ’60, “di un’equipe altamente specializzata” com’è Martinelli Luce. Entrambi dotati di un’acuta e non comune sensibilità “scenografica”, progettista e produttore realizzano così quella che, oggi come allora, può essere definita una domestica “macchina da palcoscenico”.

Ed è infatti come un fecondo coup de théâtre che chiunque aneli a preservare nell’industrial design l’intreccio fra lirismo e concretezza è portato ad accogliere e introiettare il “segreto” cinetismo della lampada Pipistrello. Dispositivo panico di complessa fattura – a valenza sia pratica che totemica – che nelle mani sapienti di Martinelli e Aulenti diviene una sorta di magico e poderoso “scettro” dal quale d’un tratto prende anima e corpo il volo alacre di quel singolare predatore notturno nel cui riposo “inverso” è rievocata, non a caso, la postura che prelude alla nascita di ogni nuovo essere futuro.

Al pari delle più tarde sedute di un maestro “anonimo” come Adriano Piazzesi, dei «più famosi modelli progettati da Borsani per la Tecno (...) e degli “elettrodomestici da salotto”»[19] come la radio Cubo - TS502 e il telefono Grillo di Zanuso e Sapper, nella lampada Pipistrello il “giunto” si palesa in quanto pungolo, peculiare valenza inaugurata dal progetto che consente all’oggetto stesso di divenire, sempre e nuovamente, “copione da recitare” circondato da “un teatro di gesti” [20], ovvero, finalmente, focus sotto il quale possono aver luogo d’intrecciarsi «saghe leggendarie, racconti mitici e trame segrete, dove cioè accada – non importa se per tramite di un’odierna mechanè rivisitata – non solo poeticamente di vivere, ma davvero di volare con la fantasia e, forse senza timore, rendere visita agli dei ulteriori»[21].

[19] Gabriella D’Amato, Op. cit.

[20] Jean Baudrillard, Il sistema degli oggetti, Feltrinelli, Milano 1968.

[21] Umberto Rovelli, Adriano Piazzesi, “grande semplice” del furniture design, in Žaklina Milošević (a cura di), Adriano Piazzesi. Arte nel silenzio. 50 anni di arte e design a Firenze, Polistampa, Firenze 2011. Mechanè è il termine col quale nella Grecia antica veniva designata la macchina teatrale che serviva, con un sistema di cavi e carrucole, a tenere sollevato un personaggio e sovente a far calare dall’alto, secondo le esigenze del copione, una divinità sul palco – da cui l’espressione latina deus ex machina.

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001	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra | Sezioni al vero e schizzi di progetto per Martinelli Luce, 1965 | © Archivio Gae Aulenti, courtesy Archivio Gae Aulenti
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003	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra | Sezioni al vero e schizzi di progetto per Martinelli Luce - particolare, 1965 | © Archivio Gae Aulenti, courtesy Archivio Gae Aulenti
004	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra | Sezione al vero per Martinelli Luce - particolare, 1965 | © Archivio Gae Aulenti, courtesy Archivio Gae Aulenti
005	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra | Schizzi di progetto per Martinelli Luce, 1965 | Dal confronto con la successiva immagine, relativa prodotto seriale, si evidenza come le proporzioni originariamente previste da Aulenti per l'estensione del fusto a cannocchiale avrebbero caratterizzato in senso pronunciatamente «ibrido» la lampada. Raggiungendo i 130 cm indicati in progetto (soluzione di cui gli schizzi sembrano suggerire due varianti), la lampada Pipistrello avrebbe infatti ancor più decisamente palesato la non usuale tipologia «intermedia» a cavallo tra la «piantana» e la «lampada da tavolo e da lettura» | © Archivio Gae Aulenti, courtesy Archivio Gae Aulenti
006	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965, Martinelli Luce | Dal confronto con la precedente immagine, relativa al progetto originale, si evidenza come le proporzioni originariamente previste da Aulenti per l'estensione del fusto a cannocchiale avrebbero caratterizzato in senso pronunciatamente «ibrido» la lampada. Raggiungendo i 130 cm indicati in progetto (soluzione di cui gli schizzi sembrano suggerire due varianti), la lampada Pipistrello avrebbe infatti ancor più decisamente palesato la non usuale tipologia «intermedia» a cavallo tra la «piantana» e la «lampada da tavolo e da lettura» | © Martinelli Luce
007	Gae Aulenti, ritratto dell'architetto nel proprio studio milanese (in via Cesariano 8) con la lampada da tavolo | da terra Pipistrello realizzata nel 1965 dall'azienda lucchese Martinelli Luce | © Ugo Mulas, courtesy Martinelli Luce
008	Gae Aulenti e Giorgio Soavi nel negozio Olivetti a Parigi in Rue du Faubourg Saint Honoré, 20 novembre 1967. In entrambi gli scatti sono visibili le lampade Pipistrello cui viene affidata, sui diversi piani, il ruolo di unica fonte illuminante «palesata» dell'allestimento e che, oltre a migliorare l'illuminazione, contribuiscono a rendere più accogliente l'ambiente. | © Rolando (Rolly) Marchi, courtesy "Domus" 452, 1967 / Associazione Archivio Storico Olivetti
009	Gae Aulenti, allestimento negozio Olivetti a Parigi in Rue du Faubourg Saint Honoré, 1967. Nel progetto vengono plasticamente proposti alcuni elementi base della «piazza italiana, movimentata da sinuose curve di livello, gradoni a diverse altezze» disposti, talvolta, «in modo da formare una piccola scalinata su cui esporre i prodotti». Nel complesso il bianco dei laminati plastici usato per le pareti contrasta [...] con la scura scultura africana» nella quale, sub specie del «calao (singolare uccello che per molte popolazioni dell'Africa Centrale ha un significato mitico, simbolo di fertilità» è simboleggiata la presenza dell'uomo. (cfr. Un negozio nel cuore di Parigi, www.storiaolivetti.it - Associazione Archivio Storico Olivetti) | © RETORIA - M. Sekiya, courtesy Archivio Gae Aulenti (a destra) / © Rolando (Rolly) Marchi, courtesy Archivio Gae Aulenti (a sinistra)
010	Gae Aulenti, allestimento negozio Olivetti a Parigi in Rue du Faubourg Saint Honoré, 1967. La sinuosa e plastica disposizione delle gradonature a diverse altezze crea l'opportunità di miscelare (o, comunque, rendere assai contigui) spazi espositivi e spazi relax con sedute informali e possibilità di lettura (rimarcate dalla presenza di cuscini e dalle Pipistrello) senza che si determini una reale soluzione di continuità fra area conviviale e area espositivo/commerciale | © Rolando (Rolly) Marchi, courtesy www.storiaolivetti.it - Associazione Archivio Storico Olivetti
011	Gae Aulenti, allestimento negozio Olivetti a Parigi, 1967. «Aperto nel 1959 nella centralissima Rue du Faubourg Saint Honoré il negozio Olivetti viene totalmente rinnovato nel 1967 da parte di Gae Aulenti. Nel biancore delle pareti e dei gradoni su cui sono esposti prodotti, risalta il pilastro rosso-arancione a forma di capsula spaziale nel quale sono ricavati dei ripiani per esporre altri prodotti» (cfr. Un negozio nel cuore di Parigi, www.storiaolivetti.it - Associazione Archivio Storico Olivetti) | © Rolando (Rolly) Marchi, courtesy Archivio Gae Aulenti
012	Gae Aulenti, allestimento negozio Olivetti a Parigi in Rue du Faubourg Saint Honoré, 1967. «Gae Aulenti trasforma l’ambiente [originariamente allestito nel 1959 da Franco Albini] facendone l’immagine di una piazza italiana, movimentata da sinuose curve di livello, gradoni a diverse altezze; il bianco dei laminati plastici usato per le pareti contrasta con la struttura rosso-arancione a forma di capsula spaziale collocata al centro del negozio e con la scura scultura africana. Cuscini in pelle posti sui gradoni per sedersi o anche per provare le macchine esposte creano insieme alle lampade da tavolo una atmosfera accogliente» (cfr. Un negozio nel cuore di Parigi, www.storiaolivetti.it - Associazione Archivio Storico Olivetti) | © Bloch Lainé, courtesy www.storiaolivetti.it - Associazione Archivio Storico Olivetti
013	Gae Aulenti, maniglia della porta d'ingresso negozio Olivetti di Buenos Aires, 1967. Un medesimo tema formale (la semisfera «scavata» lungo i due assi ortogonali fino formare quattro spicchi separati) sta alla base sia della lampada Pipistrello che di alcuni «dettagli» rilevanti del progetto allestivo del negozio. Nel caso nella porta d'accesso il motivo (funzionale alla creazione di quattro pozioni «prensili») è complicato dal gioco d'incastro che consente, tramite la chiusura della maniglia, l'illusione percettiva di una «ricomposizione» della sfera originaria da cui sono ricavate le due semisfere (interna ed esterna rispetto al profilo dell'anta di accesso) della maniglia stessa. Da notare che una medesima funzione «prensile» è implicita anche nel tema formale della lampada in quanto, proprio l'avvallamento plastico che «disegna» le quattro ali del Pipistrello "apre" lo spazio necessario all'utilizzo del pomello di trazione che determina l'altezza dell'asta telescopica posto sulla sommità della lampada | © Erich Hartmann, courtesy "Domus"466, 1968
014	Gae Aulenti, Jumbo - tavolo in marmo, 1964, Knoll; Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965, Martinelli Luce; Stringa - divano, 1965, Poltronova | © Aldo Ballo / Ballo + Ballo, courtesy Archivio Gae Aulenti
015	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965, Martinelli Luce | © Sbucci, courtesy Martinelli Luce
016	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965, Martinelli Luce | © Aldo Ballo / Ballo + Ballo, courtesy Archivio Gae Aulenti
017	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965, Martinelli Luce | © Benvenuto Saba, courtesy Martinelli Luce
018	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965 / Minipipistrello - lampada da tavolo, 2013, Martinelli Luce. A partire dal 2013 l'azienda lucchese ha realizzato una versione mini della lampada denominata Minipistrello. Quest'ultima, pur presentando le medesime caratteristiche in forma ridotta, non è estensibile ma è disponibile in versione touch on/off (codice 620/j/t/bi, 620/j/t/ma e 620/j/t/cu) dotata cioè di sensore che permette l'accensione e lo spegnimento toccando il corpo della lampada. | © Benvenuto Saba, courtesy Martinelli Luce
019	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965 / Minipipistrello - lampada da tavolo, 2013, Martinelli Luce | © Benvenuto Saba, courtesy Martinelli Luce
020	Gae Aulenti, Pipistrello Versione 50 anni - lampada da tavolo | da terra, 1965-2015, Martinelli Luce. Per la festeggiare i 50 anni della lampada sono state realizzate due versioni: a) 620/l/1/au versione dorata; b) 620/l/1/oro versione placcata oro 24k (disponibile in 50+1 esemplari). Entrambe le versioni erano firmate e numerate | © Benvenuto Saba, courtesy Martinelli Luce
021	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965 / Minipipistrello - lampada da tavolo, 2013, Martinelli Luce | © Benvenuto Saba, courtesy Martinelli Luce
022	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965, Martinelli Luce. Una visione dal basso della lampada consente di notare come originariamente le fonti iluminanti fossero opportunamente collocate a distanza massima dalle nervature curvate della scocca in metacrilato | © Daniel Moss, courtesy GayLetter.com
023	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965-2013, Martinelli Luce. A partire dal 2013 il modello originale della lampada esiste anche in versione LED | © Benvenuto Saba, courtesy Martinelli Luce
024	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965, Martinelli Luce | © Martinelli Luce
025	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965, Martinelli Luce | © Martinelli Luce
026	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965, Martinelli Luce | © Martinelli Luce
027	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965 / Minipipistrello - lampada da tavolo, 2013, Martinelli Luce. I due prodotti esposti alla mostra Gae Aulenti. Gli oggetti gli spazi tenutasi a Milano negli spazi del Triennale Design Museum dal 9 aprile all'8 settembre 2013 | © Benvenuto Saba, courtesy Martinelli Luce
028	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965 / Minipipistrello - lampada da tavolo, 2013, Martinelli Luce. I due prodotti esposti alla mostra Gae Aulenti. Gli oggetti gli spazi tenutasi a Milano negli spazi del Triennale Design Museum dal 9 aprile all'8 settembre 2013 | © Benvenuto Saba, courtesy Martinelli Luce
029	Gae Aulenti, Pipistrello - lampada da tavolo | da terra, 1965 / Minipipistrello - lampada da tavolo, 2013, Martinelli Luce | © Benvenuto Saba, courtesy Martinelli Luce
030	Il «doodle» (logo speciale che appare sulla sua homepage in occasione particolari eventi mondiali) dedicato da Google alla celeberrima lampada Pipistrello il 4 dicembre 2013 per commemorare l'86° anniversario della nascita di Gae Aulenti

Lampada da tavolo o da terra a luce diffusa, regolabile in altezza con movimento telescopico.
Diffusore in metacrilato opal bianco. Telescopio in acciaio inox.
Base e pomello in metallo verniciato nei colori bianco, testa di moro, rosso porpora e alluminio satinato.
La lampada è realizzata con tecniche di stampaggio del diffusore in metacrilato innovative per l’epoca in cui è stata progettata (1965).
A partire dal 2013 esiste anche in versione LED.

Sempre dal 2013 è stata realizzata da Martinelli Luce una versione mini della lampada denominata Minipistrello.
Quest'ultima, pur presentando le medesime caratteristiche in forma ridotta, non è estensibile ma è disponibile in versione touch on/off (codice 620/j/t/bi, 620/j/t/ma e 620/j/t/cu) dotata cioè di sensore che permette l'accensione e lo spegnimento toccando il corpo della lampada.

Altezza: 66-86cm (Pipistrello) / 35cm (Minipistrello)
Diametro Base: 55cm (Pipistrello) / 27cm (Minipistrello)

1927-‘12	name:	Gae Aulenti

1950	name:	Martinelli Luce

2013	Mostra Gae Aulenti. Gli oggetti gli spazi, Triennale Design Museum - Milano
1979	Mostra Gae Aulenti, PAC Padiglione d'Arte Contemporanea - Milano
1972	Mostra Italy: The New Domestic Landscape, MoMA - New York
...	Collezione Centre Pompidou - Paris (F)
...	Collezione Museum of Modern Art MoMA - New York (USA)
...	Collezione Metropolitan Museum of Art - New York (USA)
...	Collezione Museum des Arts Decoratives - Montreal (CDN)

	50 anni della Lampada Pipistrello - 1965/2015
2015	© video: Martinelli Luce Official
	Gae Aulenti, un ricordo
2014	© video: MEMOMI - La memoria di Milano
	Carrara Marble Week 2014
2014	© video: Martinelli Luce Official
	Martinelli Luce Pipistrello LED
2014	© video: Martinelli Luce Official
	Milano Design Week 2014
2014	© video: Martinelli Luce Official
	Light + Building - Francoforte 2014
2014	© video: Martinelli Luce Official
	Gae Aulenti, gli oggetti e gli spazi, Milano, 9 aprile-8 settembre 2013
2013	© video: Martinelli Luce Official
	segno (D) segno - Milano Design Week 2013
2013	© video: Martinelli Luce Official
	Emiliana Martinelli incontra la figlia dell’architetto Gae Aulenti
2013	© video: Martinelli Luce Official
	Carrara Marble Week 2013 - Installazione «Ligth Chain»
2013	© video: Martinelli Luce Official
	Euroluce 2013 - Milano
2013	© video: Martinelli Luce Official
	Intervista a Gae Aulenti
2012	© video: Ephraim Pepe
	La Donna nell'Arte e nel Design
2012	© video: Martinelli Luce Official
	Evento - La montagna entra in salotto - Marzo 2012
2012	© video: Martinelli Luce Official
	Martinelli Luce - storia, filosofia, prodotti, progetti
2012	© video: Martinelli Luce Official

2023	Andrea Pirruccio, Un uomo, una donna, un appartamento "FilmTV.it", 14 marzo, Tiche Italia - Milano
2023	S. F., La lampada Pipistrello di Gae Aulenti: molto più di una lampada da tavolo "Finestre sull'Arte", 20 gennaio, Danae Project - Massa
2014	Fiorella Bulegato, Elena Dellapiana, Il design degli architetti italiani. 1920-2000 Electa, Milano
2014	Redazione Domus, Trame di rame "Domus", 08 - Milano
2013	Vanni Pasca, Gae Aulenti. Gli oggetti gli spazi (catalogo mostra Triennale Design Museum) Corraini - Mantova
2012	Redazione Domus, Gae Aulenti e l'Olivetti "Domus", 11
2011	Ali Filippini, I Protagonisti del Design. Design Italiano. Anni '60 e '70 Hachette Fascicoli, Milano
2011	Francesca Balena Arista (a cura di), I Maestri del Design. Gae Aulenti 24 ORE Cultura, Milano
2009	Camille Morineau, Elles@centrepompidou - Artistes femmes dans les collections du Musée National d'Art Moderne Centre de Création Industrielle, Centre Pompidou - Paris
2007	Stefania Suma (a cura di), Gae Aulenti Gruppo Editoriale l’Espresso, Roma
2007	Giuliana Gramigna, Le fabbriche del design. I produttori dell'arredamento domestico in Italia Umberto Allemandi & C., Torino
2003	Alberto Bassi, La luce italiana.Design delle lampade 1945-2000 Electa, Milano
2003	Giuliana Gramigna, Repertorio del design italiano 1950-200 per l'arredo domestico Umberto Allemandi & C., Torino
1981	Daniele Baroni, L'oggetto lampada: forma e funzione: storia degli apparecchi d'illuminazione a luce elettrica Electa, Milano
1972	Emilio Ambasz (a cura di), Italy: the new domestic landscape. Achievements and problems of Italian design, catalogo della mostra (Museum of Modern Art, New York, N.Y. 23 maggio - 11 settembre), Museum of Modern Art / New York Graphic Society, Greenwich, Conn., New York - N.Y. [USA]
1970	Il "design" degli anni '70 "Ufficiostile", n. 4
1967	The new Olivetti Show-room. Un ambiente di magica presenza "Domus", n. 452

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